La Svizzera non è più il Paese dei bancari?
Tratto dal website www.cdt.ch | 04.01.2021
La Svizzera non è più il Paese dei bancari?
Il numero dei dipendenti del settore è ormai da anni in lenta diminuzione e all’orizzonte vi sono altre ristrutturazioni, segnala una lunga analisi del ramo stilata dall’edizione odierna della Neue Zürcher Zeitung (NZZ).
Nel 2020 la piazza bancaria elvetica contava 89.531 posti di lavoro a tempo pieno, quasi 20.000 in meno che nel 2011. Anche tenendo conto del fatto che gli istituti hanno esternalizzato alcuni servizi la flessione è netta: se Raiffeisen e le banche cantonali hanno lievemente ampliato l’organico, UBS, Credit Suisse (CS) e le filiali di banche estere hanno effettuato profondi tagli.
La crisi finanziaria e gli attacchi al segreto bancario hanno portato anche a una drastica riduzione del numero degli istituti: attualmente sono attive 71 società, contro le 123 del 2009. Chi era specializzato in ricchi clienti dei paesi vicini che tenevano celate le loro sostanze al fisco ha avuto difficoltà. L’autorità di vigilanza Finma ha inoltre serrato le viti e i nuovi responsabili giuridici, che non provengono più dal vecchio mondo bancario, non vedono più il senso di opporsi alle nuove normative, spiega alla NZZ Martin Maurer, che dal 2001 al 2019 è stato direttore dell’associazione delle banche estere in Svizzera.
Negli ultimi anni, le grandi banche hanno ridotto anche i consulenti esterni e il personale temporaneo, che non sono inclusi nelle statistiche del personale effettivo. Ma in generale è l’intera spesa ad essere stata compressa: a titolo d’esempio Credit Suisse in tre anni ha ridotto i costi da 22 a 17 miliardi di franchi, un taglio che necessariamente ha avuto un impatto sul personale. Molti impieghi sono andati persi peraltro anche all’estero.
La conseguenza è che mentre l’occupazione complessiva in Svizzera aumenta, la quota della finanza è in calo: è scesa dal 6 al 5% dalla crisi finanziaria. Il ramo bancario è peraltro importante anche per le imposte che genera, nonché per i posti di lavoro indiretti: 80.000 secondo un’analisi di BAK Economics.
Intanto nel settore proseguono le ristrutturazioni: Credit Suisse si appresta a tagliare 500 impieghi, BNP Paribas ha annunciato due interventi sull’organico in successione. Non pochi temono inoltre che i piani di CS siano solo l’inizio: il corso delle azioni delle grandi banche, come quello di Julius Bär, è infatti ancora basso e le dirigenze sono sotto pressione. Più che sul fronte degli investimenti, che portano frutti solo a medio termine, i manager potrebbero essere tentati di intervenire maggiormente nell’ambito dei costi, la gran parte dei quali è costituita dal personale.
Non tutti i dipendenti sono però sulla stessa barca, perché i profili necessari stanno cambiando: in futuro serviranno più informatici e meno collaboratori agli sportelli. I responsabili delle risorse umane delle banche ritengono che nei prossimi 8-10 anni sparirà un quarto dei posti nel backoffice e il 10% nei comparti retail, amministrazione patrimoniale e clienti aziendali. Aumenteranno per contro del 6% gli specialisti in informatica. Per il personale si tratta quindi di aggiornarsi costantemente.
Il ridimensionamento del ramo continuerà ad essere graduale, afferma la NZZ. Gli istituti regionali, quelli cantonali e Raiffeisen, che oggi pagano gli stipendi di un buon terzo di tutti i dipendenti delle banche svizzere, presentano bilanci in attivo e non prevedono un radicale taglio delle loro reti di filiali o dell’organico.
Anche la gestione patrimoniale rimarrà una questione di persone, nonostante gli ausili digitali. Inoltre, gli attivi in gestione stanno crescendo in tutto il mondo, soprattutto in Asia: chi può attrarre questa ricchezza si trova in una buona posizione. Ma la pressione sui margini e sull’efficienza è in aumento. Una serie di fusioni e acquisizioni potrebbe portare a un aumento dei licenziamenti.
Se le banche faranno diligentemente i compiti, la piazza finanziaria rimarrà un importante pilastro dell’economia svizzera anche nel prossimo futuro, conclude la NZZ. Tuttavia, nessuno - né lo Stato né gli stessi dipendenti - deve sperare in un altro miracolo dell’occupazione nel settore.