SALARI AL RIBASSO IN TICINO, DUE ECONOMISTI A CONFRONTO
Tratto dal website TICINONEWS | 26.01.2023
Sergio Rossi e Paolo Pamini analizzano lo studio dell’Ustat, secondo cui nel nostro Cantone si guadagna in media il 23% in meno rispetto al resto della Svizzera.
Nel 2020 il Ticino si è confermato fanalino di coda in termini di stipendi. Lo ha evidenziato uno studio dell’Ufficio cantonale di statistica (Ustat), secondo cui nel nostro Cantone si guadagna in media il 23% in meno rispetto al resto della Svizzera (nel settore privato si parla di 5’203 franchi contro i 6’414 di oltre Gottardo). Una differenza che è cresciuta nel corso degli ultimi 10 anni (la mediana in Ticino è aumentata del 3,7%, mentre quella del resto del paese del 7,3%). I motivi di questo divario sono molteplici e possono essere legati a un costo della vita più basso e a una diversa struttura del mercato del lavoro, in particolare per quanto riguarda la questione frontalieri-residenti, con i lavoratori d’oltreconfine disposti ad accontentarsi di salari inferiori, spingendo di conseguenza la domanda e l’offerta a giocare al ribasso. Un altro dato interessante emerso dallo studio riguarda il livello di formazione. Le persone più formate in Ticino sono quelle che hanno il salario più distante dai corrispettivi d’oltre Gottardo, dove chi ha una formazione terziaria percepisce un salario mediano superiore del 36,6% rispetto al nostro Cantone. Una percentuale che si assesta al 14.7% per le formazioni secondarie e al 18,4% per le primarie. Il quadro dipinto dallo studio non è di quelli edificanti. Per approfondire la situazione e capire le prospettive future, abbiamo interpellato gli economisti Sergio Rossi, professore all’Università di Friborgo, e Paolo Pamini, granconsigliere UDC, che hanno visioni completamente opposte l’una dall’altra.
I costi della vita in Ticino sono davvero così tanto più bassi da giustificare stipendi così distanti?
Sergio Rossi: “No, il costo della vita è leggermente inferiore rispetto alla media nazionale, ma non così tanto da giustificare una differenza salariale così importante. Il costo della vita non riguarda solo beni di consumo, ma anche affitti e premi di cassa malati”.
Paolo Pamini: “Il nesso causale è proprio l’opposto: gli stipendi sono più bassi e pertanto il costo della vita è più basso. La disponibilità di pagamento di chi vive in Ticino fa sì che anche gli affitti o i prezzi al ristorante siano più bassi”.
La colpa è dei frontalieri che abbassano le mediane salariali?
Pamini: “Sì, è legato al fatto che il nostro mercato del lavoro è inserito come un cuneo in quello lombardo. Se abbiamo una decina di milioni di potenziali lavoratori disposti ad accettare salari più bassi perché il loro costo della vita è inferiore, c’è una pressione verso il ribasso”.
Rossi: “I frontalieri non hanno colpa perché sono reclutati dagli imprenditori o da chi fa impresa in Canton Ticino. Per ridurre il costo del lavoro l’impresa può far capo ad una manodopera frontaliera. Questo però vuol dire sostituire i lavoratori residenti con lavoratori transfrontalieri e trascinare tutta l’economia ticinese verso il basso”.
Più sei formato meno guadagni rispetto ai salariati d’Oltralpe. Perché questo paradosso?
Pamini: “È un paradosso, ma soltanto a prima vista. Quando stiamo parlando di tecnici, elettricisti o altri lavoratori con diplomi federali la sostituzione è un po’ diversa. Se guardiamo al terziario, invece, i dipendenti sono sostituibili. Un tempo non lo erano perché nel settore bancario non si assumevano stranieri, soprattutto per preservare il segreto bancario. Una volta saltato, si sono aperte le dighe”.
Rossi: “Il Ticino ha perso il treno e si è orientato su un’attività economica di basso valore aggiunto. Ci sono imprese di alto valore aggiunto, come quelle attive nel settore farmaceutico. Però queste imprese fanno capo spesso e volentieri a manodopera che si è formata e magari proviene dall’estero perché riesce a imprimere una pressione a ribasso sugli stipendi”.
Come risolvere la situazione?
Rossi: “Bisognerebbe favorire le imprese che sono orientate all’economia cantonale, assumendo manodopera residente, e colpire fiscalmente quelle imprese che invece fanno a capo a manodopera transfrontaliera. Nella realtà c’è un bacino di lavoratori ticinesi che è disponibile a lavorare, ma con degli stipendi corretti”.
Pamini: “Non si può attuare perché cozza contro il diritto federale. I salari sono alti quando la produttività è alta. Se riuscissimo ad attirare delle attività economiche ad altissimo valore aggiunto, c’è la speranza che queste siano capaci di pagare salari alti”.
Come lo vedete il futuro del Cantone se non si cambiasse paradigma?
Rossi: “Il Canton Ticino è su una traiettoria che porterà sempre più al ribasso l’attività economica così come le entrate fiscali dello Stato, con una sempre maggiore richiesta di aiuti sociali che il Cantone non riesce e non vuole offrire. Oggi quello che conta è la lingua inglese, il Ticino è arretrato su questo aspetto e si spinge molto ad iniziare il tedesco già dalla prima media. Una proposta secondo me sbagliata perché si sovraccarica l’orario scolastico”.
Pamini: “Il rischio è quello di ‘lombardizzare’ il Ticino. Più vanno male le finanze pubbliche italiane, più il Ticino ha delle pressioni sul mercato di lavoro. Il rischio è quello della fuga dei cervelli”.